Shae e Grace, due amiche di venticinque anni. Si conoscono dall’infanzia, abitano nello stesso appartamento e condividono la loro vita. Cosa accade se in una gelida notte invernale Grace scompare?
Shae, dal labile autocontrollo, intuisce subito che è accaduto qualcosa di terribile. Decisa a giocare il tutto per tutto pur di ritrovarla, si rivolge all’investigatore privato Erri Coletti, ex poliziotto, appassionato di mitologia e dal passato tormentato che ancora torna a mordere la sua coscienza.
I due iniziano un’indagine sincopata sullo sfondo di Le Centre Royal, centro commerciale alle porte della città e sede di lavoro di Grace. Ma Le Centre Royal non è solo un tempio del consumismo sfrenato, è la nuova isola suburbana colonizzata dalla popolazione che lì sceglie di abitare, trovare un lavoro e replicare se stessa all’interno della sua gabbia dorata.
Affiancata da Erri, Shae scopre l’esistenza di tre persone che negli ultimi mesi a sua insaputa si sono legati a Grace. Carine, Giorgio e Viktor diventano l’unico accesso alla vittima in un triangolo feroce ed esasperato, un gioco di specchi che li deforma, li sdoppia e li fa dubitare persino di loro stessi.
Attraverso uno stile incalzante e un intreccio a orologeria, l’autrice racconta l’inesorabile discesa agli inferi dei protagonisti di questo romanzo. Anestetizzati dall’incubo artificiale che li circonda, sono in cerca di una redenzione che appare ancora più subdola della loro condizione.
E al centro del romanzo rimane incontrastato il desiderio di Grace, simbolo di una libertà perduta, di un istinto cieco verso la vita, unica possibilità per emergere da una realtà in stato di assuefazione dei giorni nostri e del nostro prossimo futuro.
Alberto Spinazzi –
1.
Alle 19.00 Grace non è ancora tornata a casa. Shae friziona con l’asciugamano i capelli umidi, un caschetto nero che non ha bisogno della piega del phon per allinearsi correttamente. Dal cassetto estrae un reggiseno e delle mutandine. Con gesti rapidi le indossa tremando leggermente, il suo corpo non si è ancora asciugato del tutto dopo la doccia. Di sfuggita vede la sua immagine riflessa nello specchio all’interno dell’armadio. I bordi delle gambe sembrano delle piste innevate in discesa, rettilinee che corrono verso il fondo valle. Indossa i pantaloni, infila la testa nello scollo della maglietta, filo di nylon che deve centrare la capocchia di uno spillo, e si aggiusta indirizzando le ciocche nere verso la curvatura del viso. Sono anni che mantiene lo stesso taglio di capelli, quella che era stata una sferzata contro una lunghezza immobilizzante, si era poi assestata in un perfetto elmo dei giorni nostri.
Ore 19.15. Grace è in ritardo. Lavora presso la Afj (Association Française Joueurs), società di scommesse da gioco all’interno del centro commerciale francese Le Centre Royal, che dista venticinque chilometri dal loro appartamento. Grace deve guidare per circa quarantacinque minuti per tornare a casa. Il suo turno di lavoro finisce alle 18.00. Avrà trovato un incidente, riflette Shae e finisce di prepararsi davanti allo specchio.
Ore 19.30. She prende il cellulare e compone il numero di Grace. Una musichetta jungle le arriva sottile fino all’orecchio insospettendola. Non è da lei dimenticare il telefono. Esce dalla camera, cercando di capire da dove provenga la suoneria. Davanti alla stanza di Grace il volume si fa insistente, ma questa volta non è musica quella che esce dai muri, no, è qualcosa come uno spillo che buca il silenzio. Una suoneria mentale. Un avvertimento.
Apre la borsa, afferra il cellulare. Nel display del telefonino risultano sette chiamate perse della Afj. Compone il numero dell’ufficio. Nessuna risposta. Si guarda intorno spaesata, cercando di ricordare se la sera prima sia accaduto qualcosa di strano. Hanno cenato insieme al ristorante cinese sotto casa. Grace aveva mangiato voracemente dai piccoli piatti che si erano alternati sul tavolo. Li aveva conditi con un’eccessiva dose di salsa piccante e per questo aveva ordinato un bottiglia grande di birra. L’avevano poi bevuta insieme, brindando come loro solito. Mentre cenavano, gli occhi di Grace si erano accesi per il bruciore, Shae era stata obbligata a ordinarne un’altra. Grace si era comportata normalmente, padroneggiando i discorsi senza permettere a chi l’ascoltava di contenere il suo protagonismo. Nulla di strano, riflette Shae, è il suo modo di fare.
Si ricorda che appena terminata la cena, Grace si era alzata per andare in bagno. Spostando indietro la sedia con il tacco, aveva alzato il mento in un gesto involontario. Un uomo aveva captato quel segnale impercettibile voltandosi verso di lei. Per Shae che la conosceva da sempre, quel movimento voleva annunciare la sua indiscussa entrata in scena. In pochi secondi infatti tutta la sala aveva puntato lo sguardo su di lei, sulla sua andatura decisa e ritmica.
Shae apre velocemente la borsa, la svuota sul letto. Il suo contenuto sembra sia stato ripulito, non ci sono tracce del suo disordine abituale, non ci sono trucchi sparsi, cartacce e quant’altro Grace sia abituata ad accumulare nella sue borsa. La borsa di Grace può contenere di tutto. Il tutto. Trova solo le chiavi di casa e dell’ufficio. Mancano quelle della macchina.
Shae ha un presentimento, ma per il momento cerca di ignorarlo.
Ore 20.00. Raggomitolata sul divano, Shae tiene il cellulare di Grace a portata di mano. Aspetta che squilli, che l’amica si faccia viva. Riflette su chi poter chiamare per avere qualche informazione. Scorre la rubrica del suo cellulare velocemente, una sequenza di nomi, chi cancellato dal tempo, chi obliato dalle circostanze, chi a tratti le ricorda avvenimenti del passato. Conosce Grace da ventidue anni, loro due ne hanno appena venticinque. Nella lista non risulta nessuna persona che abbiano frequentato recentemente, quell’elenco sembra si sia congelato ad almeno un anno fa.
Una musichetta jungle e il cellulare di Grace s’illumina. Qualcosa le trema dentro quando legge sconosciuto.
“Sì? Pronto?”
Un brusio le arriva ai timpani, è un’interferenza che disturba la chiamata.
“Chi parla? Mi senti?” Non si accorge di stare gridando.
Silenzio, la linea si interrompe. Prova a richiamare ma poi si accorge che non può farlo. Il cellulare si mette di nuovo a cantare. Risponde.
“Sei Tu? Grace?”
È la voce di un uomo, poi di nuovo il brusio. Si fa coraggio e aspetta.
“Dove sei?” Grida l’uomo.
La comunicazione si interrompe. Quella voce non le sembra di averla mai sentita. Chiude gli occhi provando a immaginare a chi possa appartenere. Deve essere un uomo sui trentacinque anni. Ma c’è qualcos’altro. Il tono incerto con cui ha pronunciato la frase. Come se non si sentisse autorizzato a porre domande, anche se necessitava a tutti i costi di una risposta.
Indossa degli stivali alti e una giacca pesante, che chiude fino a sotto il mento, barricando la bocca. Non sopporta il freddo, non l’ha mai tollerato, le piace proteggersi e sentirsi al sicuro. La presenza di Grace le dava sicurezza. Se avesse avuto un problema, avrebbe trovato il modo di avvertirla.
Esce di casa, talmente di fretta che imbocca le scale velocemente senza prendere l’ascensore. C’è vento fuori, una furia che scuote gli alberi recentemente potati dei rami. L’ultima volta, Grace li aveva definiti direttori d’orchestra senza i loro musicisti. Nell’osservarli Shae si era dimenticata per un attimo della morsa del gelo. Perché già pensa a un’ultima volta?
Gli occhi sono diventati delle fessure che squadrano lo spazio. Passa in rassegna tutte le macchine parcheggiate. Affretta il passo, come se questo possa infonderle un’energia risolutiva. Della macchina di Grace non c’è nessuna traccia.
Decide di tornare a casa. Entra nell’appartamento, preceduta dalla speranza di essersi sbagliata e di vedere Grace venirle incontro. Entra nell’appartamento, accende le luci dell’ingresso. È sola, oltre lei il vuoto delle stanze.
Ore 21.00. Se avesse conosciuto qualche nuovo ragazzo, di sicuro glielo l’avrebbe detto. Per Grace non era difficile. La sua bellezza aveva il suono annunciato della rappresaglia. Grace ti inibiva e lo faceva senza rendersene conto, come se la sopravvivenza si giocasse a un tavolo dove sedeva un unico concorrente e quel concorrente era soltanto lei.
Ore 22.00. Shae ripensa ancora alla sera prima. È un’istantanea di Grace. Si ricorda perfettamente come era vestita, il maglione rosso e stretto, i jeans dall’orlo usurato per le sue camminate, i movimenti disinibiti. Poterla ricordare in modo così preciso l’aiuta a recuperare la calma. L’autorità della ragione. Il bilancio dell’ansia.
Fino a poche ore prima l’andatura della loro vita era stata costante, una linea retta raramente interrottasi. Nessun avvenimento sospetto nella notte che era seguita. Grace era entrata nella sua stanza e si era addormentata. E lo stesso aveva fatto lei. Con la mente leggermente alterata dall’alcol era sprofondata nel sonno.
La mattina presto, Grace, come ogni giorno si era dovuta alzare per andare a lavorare. O perlomeno così lei aveva creduto. Rimasta in casa Shae aveva fatto serenamente colazione immaginandola in ufficio.
Ore 23.00. Shae è sola in salotto ad aspettare. Inizia a tremare, non sa da quale parte del suo corpo si propaghi il tremore.
Ore 24.00. Grace non è ancora tornata a casa. Il tremore si è impadronito dello stomaco.